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Categoria: VENDITA

* Cassazione, sentenza 23 maggio 2018, n. 23079, sez. II penale

VENDITA - Vendita di cose immobili – Delitto di falsità ideologica.

 

 

Nel caso in cui su un immobile un terzo accampi pretese che, se accolte a seguito di un giudizio, comporterebbero la restituzione del suddetto immobile al rivendicante anche da parte di un terzo al quale sia stato nel frattempo alienato, il proprietario che intenda venderlo, ha l'obbligo giuridico,   nella fase delle trattative, di comunicare al potenziale acquirente, la  suddetta  controversa  situazione giuridica - anche se non sia ancora sfociata in una vera e propria causa - al fine di consentirgli di liberamente autodeterminarsi e, quindi, di valutare se accettare o meno il rischio di  una eventuale causa.

Il delitto di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico (art. 483 c.p.) sussiste solo qualora l'atto pubblico, nel quale la dichiarazione del privato è trasfusa, sia destinato a provare la verità dei fatti attestati, e cioè quando una norma giuridica obblighi il privato a dichiarare il vero, ricollegando specifici effetti all'atto-documento nel quale la sua dichiarazione è inserita dal pubblico ufficiale ricevente. Le norme che impongono al notaio la verifica dei titoli di provenienza non hanno anche la funzione di obbligare le parti a rendere, sul punto, dichiarazioni veritiere, né l'atto di   vendita, destinato a trasferire la proprietà dei beni, è destinato a provare la verità dei fatti dichiarati dal venditore non essendovi alcuna specifica norma giuridica che, sul punto, attribuisca al suddetto atto la funzione di provare i fatti attestati dal privato al pubblico ufficiale.