Presidente
Rovelli – Relatore Petitti
Svolgimento
del processo
M.E. adiva il Tribunale di Reggio Calabria con citazione del gennaio 1989
chiedendo che venisse: a) dichiarata aperta la successione di C.P. , da
devolversi secondo le norme della successione legittima per 1/4 in favore del
fratello C.F. , per 1/4 in favore di C.N. , C.E. e C.C. (in rappresentazione di
C.G. , fratello di C.P. ), per 1/4 in favore della sorella C.V. e per 1/4 In
favore dei figli e dei discendenti dell’altra sorella C.G. ; b) dichiarata
aperta, altresì, la successione di C.F. , da devolversi secondo le norme della
successione legittima per 1/3 in favore dei figli del fratello C.G. , per 1/3
in favore dei figli della sorella premorta C.V. (a lei subentrati per
rappresentazione) e per 1/3 in favore dei figli e dei discendenti della sorella
premorta C.G. (a lei subentrati per rappresentazione); 3) disposta la
formazione delle masse ereditarie comprendendo in esse tutti i beni relitti
risultanti dalle dichiarazioni di successione; 4) disposta la divisione dei
beni relitti e lo scioglimento della comunione; 5) disposta la divisione per
stirpi, attribuendo a ciascuna stirpe beni corrispondenti alle quote di diritto
di ciascuna; 6) ordinata la
formazione del progetto divisionale e gli adempimenti consequenziali.
Instauratosi il contraddittorio, si costituivano le germane S.A. , S.E. e
S.V. (aventi causa di C.V. ), le quali aderivano alla domanda di divisione e
chiedevano che tra i beni da dividere fossero inclusi anche quelli oggetto
della donazione fatta da C.F. al nipote C.N. con atto pubblico del 1987,
deducendone la nullità per inesistenza dei beni donati nella sfera giuridica
del donante, nonché che venisse ordinato a C.N. di rendere il conto della
gestione degli immobili facenti parte dell’eredità di P. e di C.F..
Si costituiva anche Sc.Vi. , che aderiva alla domanda di divisione, nonché
i germani C.N. , C.E. e C.C. , i quali pur non opponendosi alla divisione,
chiedevano che dalla eredità venissero detratti i beni oggetto della donazione
per atto notaio Miritello del 1987.
Nel giudizio si costituivano anche i germani M.P.F.M. , M.A.S.M. e M.G.R.M.
, figli di M.P. , avente causa di C.G. , aderendo alla domanda principale,
nonché M.L. e Z.M.R. , in qualità di eredi di M.N. , quest’ultima in proprio e
quale esercente la potestà sulla figlia minore M.C. , che ugualmente facevano
proprie le domande dell’attrice.
Nel processo interveniva la curatela del fallimenti di M.N. e Z.M.R. che,
oltre a costituirsi in qualità di eredi di Ca.Lu. , C.N. , C.E. e C.C. ,
ribadiva le richieste già formulate.
Con sentenza non definitiva del 30 aprile 2004, il Tribunale adito
dichiarava aperta la successione di C.P. e devoluta secondo le norme della
successione legittima la sua eredità, nonché quella di C.F. , parimenti
devoluta secondo le norme della successione legittima.
Il Tribunale dichiarava, altresì, la nullità dell’atto di donazione per
atto notaio Miritello del 1 ottobre1987 e rimetteva la causa sul ruolo con
separata ordinanza per il prosieguo.
Avverso la sentenza non definitiva i germani C.N. , C.E. e C.C. , in
proprio e nella qualità di eredi di Ca.Lu. , censurando il capo della sentenza
con cui era stata dichiarata la nullità dell’atto di donazione del 1987.
Nella resistenza di S.E. , S.A. , S.E. e S.V. , nonché di M.P.F.M. ,
M.A.S.M. e M.G.R.M. , contumaci le restanti parti, la Corte di appello di
Reggio Calabria rigettava il gravame e per l’effetto confermava integralmente
la sentenza impugnata.
A sostegno della decisione adottata la Corte distrettuale evidenziava che
avendo il defunto C.F. donato al nipote C.N. la nuda proprietà della sua quota
(corrispondente ai 5/12 indivisi dell’intero) dei due appartamenti costituenti
l’intero secondo piano del fabbricato di vecchia costruzione a sei piani sito
in via (OMISSIS) , dalla lettura sistematica degli artt. 769 e 771 cod. civ.,
doveva ritenersi la nullità dell’atto di donazione, potendo costituire oggetto
di donazione solo ed esclusivamente i beni facenti parte del patrimonio del
donante al momento in cui veniva compiuto l’atto di liberalità, tali non
potendosi ritenere quelli di cui il donante era comproprietario pro indiviso di
una quota ideale.
Avverso tale sentenza i C. hanno proposto ricorso per cassazione,
articolato su quattro motivi, al quale hanno resistito gli S. e l’originaria
attrice con separati controricorsi.
Con ordinanza interlocutoria n. 11545 del 2011, emessa all’esito
dell’udienza del 13 febbraio 2013, la Seconda Sezione di questa Corte,
disattese le eccezioni di inammissibilità formulate dai controricorrenti e
ritenuto non fondato il primo motivo di ricorso, ha, in relazione al secondo,
al terzo e al quarto motivo di ricorso, rimesso gli atti al Primo Presidente
della Corte per la eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite,
ravvisando nella questione oggetto del ricorso una questione di massima di
particolare importanza.
Disposta la trattazione del ricorso presso queste Sezioni Unte, in vista
dell’udienza del 10 marzo 2015 i ricorrenti e la controricorrente M.E. hanno
depositato memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ..
Motivi
della decisione
1. Deve preliminarmente essere dichiarata la inammissibilità della
costituzione di B.G.C.F. , per difetto di procura speciale, essendo la stesa
intervenuta in un giudizio iniziato prima del 4 luglio 2009 (Cass. n. 7241 del
2010; Cass. n. 18323 del 2014).
2. – Come già rilevato, il primo motivo di impugnazione è stato già
disatteso dalla Seconda Sezione.
2.1. – Con il secondo motivo di ricorso i ricorrenti deducono vizio di
motivazione sul rilievo che, non essendo stato acquisito il fascicolo di primo
grado ed avendo la Corte d’appello esaminato l’atto di donazione solo per la
parte riportata nell’atto di appello, il convincimento del giudice di appello
sarebbe il frutto di una presunzione non vera, essendo il tenore della
donazione molto più esteso rispetto ai brani esaminati in sede di gravarne.
Prosegue parte ricorrente che la lettura integrale dell’atto di liberalità
avrebbe consentito di rilevare che l’oggetto della donazione era costituito, in
parte, da un diritto proprio di C.F. , e cioè della quota di comproprietà degli
immobili di cui C.F. era titolare in modo esclusivo, per avere ciascuno dei fratelli
C.F. , C.P. e C.G. la piena disponibilità di una quota pari ad 1/3 degli
immobili di cui al rogito; per altra parte, dalla quota di 1/3 a lui pervenuta
dalla eredità del fratello C.P. : circostanza, questa, di cui non vi era alcun
cenno nella sentenza impugnata. La Corte d’appello avrebbe quindi errato
nell’accomunare i due cespiti in una indistinta “quota ereditaria”.
2.2. – Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano la violazione degli
artt. 769 e 771 cod. civ., in combinato disposto con l’art. 1103 cod. civ.,
oltre alla illegittimità della sentenza impugnata per difetto di motivazione ed
errata valutazione dei presupposti di fatto, per non avere i giudici di merito
riconosciuto che C.F. poteva validamente donare al nipote la quota di proprietà
di cui era esclusivo titolare con riferimento all’immobile di via (OMISSIS) ,
essendo tale bene nella sua piena disponibilità, potendo essere le
argomentazioni del Tribunale riferite semmai alla residua quota di 1/12
pervenuta al donante per successione ereditaria dal fratello C.P. . A
conclusione del motivo i ricorrenti formulano il seguente quesito di diritto:
“Dica la Suprema Corte di Cassazione se il divieto di cui all’art. 771 c.c. può
essere legittimamente esteso anche ai beni di cui il donante è titolare in
comunione ordinarla con i propri fratelli”.
2.3. – Con il quarto motivo i ricorrenti lamentano la violazione ed erronea
applicazione degli artt. 771 e 769 cod. civ., in combinato disposto con gli
artt. 1103 e 757 cod. civ., nonché carenza assoluta di motivazione, per avere
ritenuto i giudici di merito “beni altrui”, fino al momento della divisione,
anche i beni in comproprietà ordinaria, in aperto contrasto con i principi che
regolano l’istituto della comproprietà e dell’art. 1103 cod. civ., che sancisce
il principio della piena disponibilità dei beni in comproprietà nei limiti
della quota di titolarità del disponente. Ad avviso dei ricorrenti eguali
considerazioni varrebbero anche per la c.d. quota ereditaria. Quanto alla
conclusione del giudice di appello circa l’irrilevanza della qualificazione
della fattispecie quale condizione sospensiva, i ricorrenti rilevano che la
divisione dei beni ereditari, seppure avvenga dopo il decesso di uno dei
coeredi, non cancella i diritti nascenti sui beni ereditari.
A conclusione del motivo i ricorrenti formulano il seguente quesito di
diritto: “Dica la Suprema Corte di Cassazione se l’art. 771 c.c. può essere
legittimamente interpretato equiparando a tutti gli effetti la categoria dei
“beni futuri” con quella dei “beni altrui”.
3. – La Seconda Sezione, con l’ordinanza interlocutoria n. 11545 del 2014
ha innanzi tutto ricordato come, nonostante l’art. 769 cod. civ. abbia
assoggettato la donazione al principio consensualistico, sia risultato
prevalente In giurisprudenza, in via di interpretazione analogica dell’art. 771
cod. civ., la tesi della nullità della donazione di bene altrui, assumendosi il
carattere della necessaria immediatezza dell’arricchimento altrui e, dunque,
dell’altrettanto necessaria appartenenza del diritto al patrimonio del donante
al momento del contratto (sono in proposito richiamate Cass. 23 maggio 2013, n.
12782; Cass. 5 maggio 2009, n. 10356; Cass. 18 dicembre 1996, n. 1131; Cass. 20
dicembre 1985, n. 6544). La Seconda Sezione ha, per contro, ricordato, da un
lato, le critiche di parte della dottrina, fondate sullo stesso testo dell’art.
769 cod. civ., il quale contempla l’arricchimento della parte donataria operato
“assumendo verso la stessa un’obbligazione”; e, dall’altro, Cass. 5 febbraio
2001, n. 1596, che ha considerato la donazione di cosa altrui non nulla, ma
semplicemente inefficace, con conseguente sua idoneità a valere quale titolo
per l’usucapione immobiliare abbreviata. La Seconda Sezione ha quindi aggiunto
che la soluzione della questione posta è evidentemente correlata alla ratio
dell’art. 771 cod. civ..
Nella specie, la questione non riguarderebbe la donazione dei quattro
dodicesimi di cui il donante era titolare inter vivos, dovendosi in parte qua
la liberalità Intendere come di cosa propria, in quanto relativa alla quota del
partecipante in comunione ordinaria, alienata ai sensi e nei limiti dell’art.
1103 cod. civ.. La questione si porrebbe, piuttosto, quanto all’ulteriore
dodicesimo del bene di provenienza ereditaria, e per il quale il donante
intendeva trasferire il proprio diritto di coerede, ricadente, tuttavia, sulla
quota ex art. 727 cod. civ. e non (ancora) su quel determinato Immobile
compreso nell’asse.
3.1. – In conclusione, la Seconda Sezione ha rimesso all’esame di queste Sezioni
Unite la seguente questione: “Se la donazione dispositiva di un bene altrui
debba ritenersi nulla alla luce della disciplina complessiva della donazione e,
in particolare, dell’art. 771 cod. civ., poiché il divieto di donazione dei
beni futuri ricomprende tutti gli atti perfezionati prima che il loro oggetto
entri a comporre il patrimonio del donante e quindi anche quelli aventi ad
oggetto i beni altrui, oppure sia valida ancorché inefficace, e se tale
disciplina trovi applicazione, o no, nel caso di donazione di quota di
proprietà pro indiviso”.
4. – Come riferito, sulla questione se la donazione di cosa altrui sia
nulla o no, la giurisprudenza di questa Corte si è reiteratamente espressa, nel
senso della nullità.
4.1. – Secondo Cass. n. 3315 del 1979, “la convenzione che contenga una
promessa di attribuzione dei propri beni a titolo gratuito configura un
contratto preliminare di donazione che è nullo, in quanto con esso si viene a
costituire a carico del promittente un vincolo giuridico a donare, il quale si
pone in contrasto con il principio secondo cui nella donazione l’arricchimento
del beneficiario deve avvenire per spirito di liberalità, in virtù cioè di un
atto di autodeterminazione del donante, assolutamente libero nella sua
formazione”. La successiva Cass. n. 6544 del 1985, ha affermato che la
donazione di beni altrui non genera a carico del donante alcun obbligo poiché,
giusta la consolidata interpretazione dell’art. 771 cod. civ., dal sancito
divieto di donare beni futuri deriva che è invalida anche la donazione nella
parte in cui ha per oggetto una cosa altrui; a differenza di quanto avviene, ad
esempio, nella vendita di cosa altrui, che obbliga il non dominus alienante a
procurare l’acquisto al compratore. Tale decisione ha quindi affermato che “ai
fini dell’usucapione abbreviata a norma dell’art. 1159 cod. civ. non
costituisce titolo astrattamente idoneo al trasferimento la donazione di un
bene altrui, attesa l’invalidità a norma dell’art. 771 cod. civ. di tale
negozio”.
Sempre nell’ambito della nullità si colloca Cass. n. 11311 del 1996, così
massimata: “l’atto con il quale una pubblica amministrazione, a mezzo di
contratto stipulato da un pubblico funzionario, si obblighi a cedere
gratuitamente al demanio dello Stato un’area di sua proprietà, nonché un’altra
area che si impegni ad espropriare, costituisce una donazione nulla, sia
perché, pur avendo la pubblica amministrazione la capacità di donare, non è
ammissibile la figura del contratto preliminare di donazione, sia perché l’atto
non può essere stipulato da un funzionario della pubblica amministrazione
(possibilità limitata dall’art. 16 del R.D. n. 2440 del 1923 ai soli contratti
a titolo oneroso), sia perché l’art. 771 cod. civ. vieta la donazione di beni
futuri, ossia dell’area che non rientra nel patrimonio dell’amministrazione
“donante” ma che la stessa si impegna ad espropriare”.
Particolarmente significativa è poi Cass. n. 10356 del 2009, secondo cui
“la donazione dispositiva di un bene altrui, benché non espressamente
disciplinata, deve ritenersi nulla alla luce della disciplina complessiva della
donazione e, in particolare, dell’art. 771 cod. civ., poiché il divieto di
donazione dei beni futuri ricomprende tutti gli atti perfezionati prima che il
loro oggetto entri a comporre il patrimonio del donante; tale donazione,
tuttavia, è idonea ai fini dell’usucapione decennale prevista dall’art. 1159
cod. civ., poiché il requisito, richiesto da questa norma, dell’esistenza di un
titolo che legittimi l’acquisto della proprietà o di altro diritto reale di
godimento, che sia stato debitamente trascritto, deve essere inteso nel senso
che il titolo, tenuto conto della sostanza e della forma del negozio, deve
essere suscettibile in astratto, e non in concreto, di determinare il
trasferimento del diritto reale, ossia tale che l’acquisto del diritto si
sarebbe senz’altro verificato se l’alienante ne fosse stato titolare”.
Da ultimo, Cass. n. 12782 del 2013 si è espressa in senso conforme alla
decisione da ultimo richiamata.
4.2. – In senso difforme si rinviene Cass. n. 1596 del 2001, che ha
affermato il principio per cui “la donazione di beni altrui non può essere
ricompresa nella donazione di beni futuri, nulla ex art. 771 cod. civ., ma è
semplicemente inefficace e, tuttavia, idonea ai fini dell’usucapione abbreviata
ex art. 1159 cod. civ., in quanto il requisito, richiesto dalla predetta
disposizione codicistica, della esistenza di un titolo che sia idoneo a far
acquistare la proprietà o altro diritto reale di godimento, che sia stato
debitamente trascritto, va inteso nel senso che il titolo, tenuto conto della
sostanza e della forma del negozio, deve essere idoneo in astratto, e non in
concreto, a determinare il trasferimento del diritto reale, ossia tale che
l’acquisto del diritto si sarebbe senz’altro verificato se l’alienante ne fosse
stato titolare”.
4.3. – A ben vedere, il contrasto tra i due orientamenti giurisprudenziali
non coinvolge il profilo della efficacia dell’atto a costituire titolo idoneo
per l’usucapione abbreviata, ma, appunto, la ascrivibilità della donazione di
cosa altrui nell’area della invalidità, e segnatamente della nullità, ovvero in
quella della inefficacia.
5. Il Collegio ritiene che alla questione debba essere data risposta nel
senso che la donazione di cosa altrui o anche solo parzialmente altrui è nulla,
non per applicazione in via analogica della nullità prevista dall’art. 771 cod.
civ. per la donazione di beni futuri, ma per mancanza della causa del negozio
di donazione.
5.1. – Deve innanzi tutto rilevarsi che la sentenza n. 1596 del 2001 evoca
la categoria della inefficacia, che presuppone la validità dell’atto, e si
limita ad affermare la non operatività della nullità in applicazione analogica
dell’art. 771, primo comma, cod. civ., in considerazione di una pretesa natura
eccezionale della causa di nullità derivante dall’avere la donazione ad oggetto
beni futuri, ma non verifica la compatibilità della donazione di cosa altrui
con la funzione e con la causa del contratto di donazione. La soluzione
prospettata appare, quindi, non condivisibile, vuoi perché attribuisce al
divieto di cui alla citata disposizione la natura di disposizione eccezionale,
insuscettibile di interpretazione analogica; vuoi e soprattutto perché non
considera la causa del contratto di donazione.
Al contrario, una piana lettura dell’art. 769 cod. civ. dovrebbe indurre a
ritenere che l’appartenenza del bene oggetto di donazione al donante
costituisca elemento essenziale del contratto di donazione, in mancanza del
quale la causa tipica del contratto stesso non può realizzarsi. Recita,
infatti, la citata disposizione: “La donazione è il contratto col quale, per
spirito di liberalità, una parte arricchisce l’altra, disponendo a favore di
questa di un suo diritto o assumendo verso la stessa una obbligazione”.
Elementi costitutivi della donazione sono, quindi, l’arricchimento del
terzo con correlativo depauperamento del donante e lo spirito di liberalità, il
c.d. animus donandi, che connota il depauperamento del donante e
l’arricchimento del donatario e che, nella giurisprudenza di questa Corte, va
ravvisato “nella consapevolezza dell’uno di attribuire all’altro un vantaggio
patrimoniale in assenza di qualsivoglia costrizione, giuridica o morale” (Cass.
n. 8018 del 2012; Cass. n. 12325 del 1998; Cass. n. 1411 del 1997; Cass. n.
3621 del 1980).
Appare evidente che, in disparte il caso della donazione effettuata
mediante assunzione di una obbligazione, nella quale oggetto dell’obbligazione
del donante sia il trasferimento al donatario di un bene della cui appartenenza
ad un terzo le parti siano consapevoli, l’esistenza nel patrimonio del donante
del bene che questi intende donare rappresenti elemento costitutivo del
contratto; e la consustanzialità di tale appartenenza alla donazione è
delineata in modo chiaro ed efficace dalla citata disposizione attraverso il
riferimento all’oggetto della disposizione, individuato in un diritto del
donante (“un suo diritto”). La non ricorrenza di tale situazione – certamente
nel caso in cui né il donante né il donatario ne siano consapevoli, nel qual
caso potrebbe aversi un’efficacia obbligatoria della donazione – comporta la
non riconducibilità della donazione di cosa altrui allo schema negoziale della
donazione, di cui all’art. 769 cod. civ.. In altri termini, prima ancora che per
la possibile riconducibilità del bene altrui nella categoria dei beni futuri,
di cui all’art. 771, primo comma, cod. civ., la altruità del bene incide sulla
possibilità stessa di ricondurre il trasferimento di un bene non appartenente
al donante nello schema della donazione dispositiva e quindi sulla possibilità
di realizzare la causa del contratto (incremento del patrimonio altrui, con
depauperamento del proprio).
5.2. – La mancanza, nel codice del 1942, di una espressa previsione di
nullità della donazione di cosa altrui, dunque, non può di per sé valere a
ricondurre la fattispecie nella categoria del negozio inefficace. Invero, come
si è notato in dottrina, il fatto stesso che il legislatore del codice civile
abbia autonomamente disciplinato sia la compravendita di cosa futura che quella
di cosa altrui, mentre nulla abbia stabilito per la donazione a non domino,
dovrebbe suggerire all’interprete di collegare il divieto di liberalità aventi
ad oggetto cose d’altri alla struttura e funzione del contratto di donazione,
piuttosto che ad un esplicito divieto di legge. Pertanto, posto che l’art. 1325
cod. civ. individua tra i requisiti del contratto “la causa”; che, ai sensi
dell’art. 1418, secondo comma, cod. civ., la mancanza di uno dei requisiti
indicati dal’art. 1325 cod. civ. produce la nullità del contratto; e che
l’altruità del bene non consente di ritenere integrata la causa del contratto
di donazione, deve concludersi che la donazione di un bene altrui è nulla.
5.3. – Con riferimento alla donazione deve quindi affermarsi che se il bene
si trova nel patrimonio del donante al momento della stipula del contratto, la
donazione, in quanto dispositiva, è valida ed efficace; se, invece, la cosa non
appartiene al donante, questi deve assumere espressamente e formalmente
nell’atto l’obbligazione di procurare l’acquisto dal terzo al donatario.
La donazione di bene altrui vale, pertanto, come donazione obbligatoria di
dare, purché l’altruità sia conosciuta dal donante, e tale consapevolezza
risulti da un’apposita espressa affermazione nell’atto pubblico (art. 782 cod.
civ.). Se, invece, l’altruità del bene donato non risulti dal titolo e non sia
nota alle parti, il contratto non potrà produrre effetti obbligatori, né potrà
applicarsi la disciplina della vendita di cosa altrui.
5.4. – La sanzione di nullità si applica normalmente alla donazione di beni
che il donante ritenga, per errore, propri, perché la mancata conoscenza
dell’altruità determina l’impossibilità assoluta di realizzazione del programma
negoziale, e, quindi, la carenza della causa donativa. La donazione di bene non
appartenente al donante è quindi affetta da una causa di nullità autonoma e
indipendente rispetto a quella prevista dall’art. 771 cod. civ., ai sensi del
combinato disposto dell’art. 769 cod. civ. (il donante deve disporre “di un suo
diritto”) e degli artt. 1325 e 1418, secondo comma, cod. civ. In sostanza,
avendo l’animus donandi rilievo causale, esso deve essere precisamente
delineato nell’atto pubblico; in difetto, la causa della donazione sarebbe
frustrata non già dall’altruità del diritto in sé, quanto dal fatto che il
donante non assuma l’obbligazione di procurare l’acquisto del bene dal terzo.
5.5. – Alle medesime conclusioni deve pervenirsi per il caso in cui, come
nella specie, oggetto della donazione sia un bene solo in parte altrui, perché
appartenente pro indiviso a più comproprietari per quote differenti e donato
per la sua quota da uno dei coeredi. Non è, Infatti, dato comprendere quale
effettiva differenza corra tra i “beni altrui” e quelli “eventualmente altrui”,
trattandosi, nell’uno e nell’altro caso, di beni non presenti, nella loro
oggettività, nel patrimonio del donante al momento dell’atto, l’unico rilevante
al fine di valutarne la conformità all’ordinamento.
In sostanza, la posizione del coerede che dona uno dei beni compresi nella
comunione (ovviamente, nel caso in cui la comunione abbia ad oggetto una
pluralità di beni) non si distingue in nulla da quella di qualsivoglia altro
donante che disponga di un diritto che, al momento dell’atto, non può ritenersi
incluso nel suo patrimonio.
Né una distinzione può desumersi dall’art. 757 cod. civ., in base al quale
ogni coerede è reputato solo e immediato successore in tutti i beni componenti
la sua quota o a lui pervenuti dalla successione anche se per acquisto
all’incanto e si considera come se non avesse mai avuto la proprietà degli atri
beni ereditari. Invero, proprio la detta previsione impedisce di consentire che
il coerede possa disporre, non della sua quota di partecipazione alla comunione
ereditaria, ma di una quota del singolo bene compreso nella massa destinata ad
essere divisa, prima che la divisione venga operata e il bene entri a far parte
del suo patrimonio.
6. – In conclusione, deve affermarsi il seguente principio di diritto: “La
donazione di un bene altrui, benché non espressamente vietata, deve ritenersi
nulla per difetto di causa, a meno che nell’atto si affermi espressamente che
il donante sia consapevole dell’attuale non appartenenza del bene al suo
patrimonio. Ne consegue che la donazione, da parte del coerede, della quota di
un bene indiviso compreso in una massa ereditaria è nulla, non potendosi, prima
della divisione, ritenere che il singolo bene faccia parte del patrimonio del
coerede donante”.
7. In applicazione di tale principio, il ricorso deve essere quindi
rigettato. Non possono essere infatti condivise le deduzioni dei ricorrenti in
ordine alla circostanza che l’atto di donazione riguardava non solo una quota
ereditarla del bene specificamente oggetto di donazione, ma anche una quota
della quale il donante era già titolare per averla acquistata per atto inter
vivos. Invero, posto che è indiscutibile che l’atto di donazione aveva ad
oggetto la quota di un dodicesimo dei beni immobili indicati nell’atto stesso rientrante
nella comunione ereditaria, deve ritenersi che non sia possibile operare la
prospettata distinzione tra la donazione dei quattro dodicesimi riferibili al
donante e del restante dodicesimo, comportando l’esistenza di tale quota la
attrazione dei beni menzionati nella disciplina della comunione ereditaria. Ne
consegue che la nullità dell’atto di donazione per la parte relativa alla quota
ereditaria comporta la nullità dell’intero atto, ai sensi dell’art. 1419 cod.
civ., non risultando che nei precedenti gradi di giudizio sia emersa la volontà
del donatario di affermare la validità della donazione per la quota spettante
al donante.
D’altra parte, non può non rilevarsi che l’inclusione, anche se solo in
parte, degli immobili oggetto di donazione nella comunione ereditaria
comportava la astratta possibilità della loro assegnazione, in sede di
divisione, a soggetto diverso dal donante; con ciò dimostrandosi ulteriormente
la sostanziale inscindibilità della volontà negoziale manifestatasi con l’atto
di donazione dichiarato nullo dal Tribunale di Reggio Calabria, con sentenza
confermata dalla Corte d’appello.
8. – In conclusione, il ricorso va rigettato.
In considerazione della complessità della questione e dei diversi
orientamenti giurisprudenziali, che hanno reso necessario l’intervento delle
Sezioni Unite, le spese del giudizio possono essere interamente compensate tra
le parti.
P.Q.M.
La Corte, pronunciando a Sezioni Unite, rigetta il ricorso; compensa le
spese del giudizio di cassazione.
NOTE
[1] Cass. sent. n. 5068/2016 del 15.03.2016.
[2] Art. 771 cod. civ.
[3] Fanno eccezione solo i frutti non ancora separati dal bene.
[4] Cass. sent. n. 1596/2001.