Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato il 18 gennaio 1997 la sig.ra Ru.
N. conveniva dinanzi al Tribunale di Roma la sig.ra R. L. e, premesso di
aver stipulato con quest'ultima un contratto preliminare di compravendita
avente ad oggetto il proprio immobile sito in (OMISSIS), comprensivo delle
pertinenze della cantina e del posto auto, edificato su area concessa in
diritto di superficie dal Comune di Roma, da lei acquistato dall'impresa di
costruzione Nuova Organizzazione Tecnologica s.r.l. nell'ambito di programmi
di edilizia residenziale pubblica agevolata e convenzionata, e di aver
inutilmente sollecitato la promissaria acquirente alla stipulazione dell'atto
pubblico, chiedeva la risoluzione del contratto con ritenzione della caparra
versata.
Costituitasi ritualmente, la sig.ra R. eccepiva che l'appartamento, pur
essendo alienabile in virtù dell'autorizzazione concessa dalla regione Lazio,
era soggetto a vincolo di determinazione del prezzo: che non era libero,
bensì legato agli specifici parametri richiamati nella convenzione tra il
Comune di Roma e l'impresa costruttrice N.or.tecno.
Chiedeva, a sua volta, in via riconvenzionale, la costituzione in forma
specifica del contratto, ex art. 2932 c.c.,
previa riduzione del prezzo d'acquisto; o in subordine, la risoluzione per
inadempimento della promittente venditrice, con restituzione della caparra e
risarcimento del danno; o ancora in via gradata, l'annullamento del contratto
preliminare per errore su qualità essenziali del bene.
Con sentenza 21 marzo 2001 il Tribunale di Roma dichiarava risolto il
contratto per inadempimento della promissaria acquirente, rigettando la
domanda riconvenzionale, con diritto da parte della signora Ru. di
trattenere, a titolo di penale, la somma di lire 2 milioni e condanna
dell'attrice alla restituzione dell'ulteriore somma di lire 100 milioni
ricevuta in acconto.
In riforma della decisione, la Corte d'appello di Roma, con sentenza non
definitiva in data 11 novembre 2004, accertava l'inadempimento della
promittente venditrice a stipulare il contratto, al prezzo da determinare nel
prosieguo del giudizio, secondo i parametri indicati nella convenzione tra il
Comune di Roma e la società costruttrice.
Motivava:
- che appariva contraria alla ratio della normativa ed alla
giurisprudenza di legittimità (Cass., sez.1, 2 settembre 1995 n.9266) che
l'autorizzazione a vendere l'immobile, per ragioni discrezionali attinenti il
singolo acquirente, potesse comportare l'eliminazione, dopo poco tempo
dall'acquisto, di tutti i vincoli legali volti ad assicurare a soggetti in
condizioni economiche meno agiate l'acquisizione a titolo di proprietà piena
o, come nella specie, di proprietà superficiaria, di alloggi costruiti con il
contributo dello Stato: in tal modo, consentendo che le agevolazioni concesse
si trasformassero in uno strumento di speculazione;
- che pertanto il venir meno del vincolo di inalienabilità non aveva come
effetto l'assoggettamento dell'immobile alle sole leggi di mercato: che nella
specie avrebbero fatto levitare il prezzo di acquisto di lire 97 milioni nel
1993 - di cui lire 27 milioni in contanti e lire 70 milioni per accollo di
mutuo - al ben maggiore prezzo di lire 315 milioni preteso dalla signora Ru..
- che era quindi nello spirito della legge di evitare ogni sorta di
speculazione commerciale, non solo in occasione della prima vendita, ma anche
di quelle successive: come confermato dalla stessa autorizzazione all'alienazione
da parte della regione Lazio, ove era espressamente stabilito che restavano
ferme le disposizioni di legge sul mutuo agevolato a favore del subentrante,
e quindi il perdurante potere di verifica delle condizioni soggettive per la
fruibilità del contributo pubblico, incompatibile con la tesi della
immissione del bene sul libero mercato;
- che era dunque fondata la domanda di costituzione in forma specifica
del contratto, previa inserzione automatica del prezzo legale in luogo di
quello pattuito con clausola invalida, ai sensi dell'art. 1339
c.c..
All'esito del prosieguo istruttorio, dopo l'espletamento di consulenza
tecnica d'ufficio, la Corte d'appello di Roma, con sentenza 25 ottobre 2007,
trasferiva alla sig.ra R.L. la proprietà superficiaria dell'immobile,
subordinatamente al versamento dell'importo di Euro 43.101,61 e all'accollo
di mutuo acceso presso la sezione del credito fondiario della Cariplo per
l'importo originario di lire 91 milioni; con compensazione delle spese di
entrambi i gradi di giudizio.
Avverso la sentenza, non notificata, la sig.ra R. proponeva ricorso per
cassazione articolato in due motivi e notificato il 4 dicembre 2008.
Deduceva:
1) la violazione degli artt. 112, 113,
115 e 116 c.p.c., artt. 1339 e 1362
c.c., e L. 22 ottobre
1971, n. 865, art. 35, comma 8,
(Programmi e coordinamento dell'edilizia residenziale pubblica; norme sulla
espropriazione per pubblica utilità; modifiche ed integrazioni alle L. 17 agosto 1942,
n. 1150; L. 18 aprile
1962, n. 167; L. 29 settembre
1964, n. 847; ed autorizzazione di spesa per interventi
straordinari nel settore dell'edilizia residenziale, agevolata e
convenzionata) nel condizionare l'effetto traslativo al pagamento di Euro
43.101,61 unitamente all'accollo del mutuo: in tal modo, maggiorando il prezzo
di compravendita liberamente pattuito;
2) la violazione dell'art. 92 cod.
proc. civ. e la carenza di motivazione nella
compensazione delle spese di entrambi i gradi di giudizio.
La sig.ra Ru.Nu. resisteva con controricorso e proponeva, a sua volta,
ricorso incidentale, affidato a quattro motivi.
Deduceva:
1) la violazione degli artt. 112, 113,
115 e 116 c.p.c., artt. 1453- 1455 cod. civ. e L. n. 865 del
1971, art. 35,
nonchè la carenza di motivazione nel ritenere che il venir meno del divieto
di alienazione per effetto del decorso del termine minimo previsto dalla
legge dal primo acquisto non provocasse anche la caducazione degli altri
vincoli relativi alla determinazione del prezzo;
2) la violazione delle medesime norme e la carenza di motivazione per non
aver considerato che i limiti di cui alla L. n. 865 del
1971, art. 35 restavano
comunque ininfluenti sul rapporto di diritto privato instaurato tra le parti
in causa;
3) la violazione di legge e la carenza di motivazione nel ritenere nullo
un prezzo superiore a quello legale e sostituibile con quest'ultimo;
4) la violazione degli artt. 112, 113,
115 e 116 cod. proc. civ. e artt. 1385 e 1386
cod. civ. nella condanna alla restituzione della caparra
di lire 2 milioni, nonostante la R. non avesse mai espresso la volontà di
voler recedere dal contratto.
La seconda sezione civile di questa Corte, cui il ricorso era stato
assegnato, ravvisando una questione di massima di particolare importanza - se
il vincolo del prezzo massimo di cessione dell'immobile costruito in regime
di edilizia agevolata sia limitato al solo termine di vigenza del vincolo di
inalienabilità e valga unicamente per il concessionario, e non anche per i
successivi sub acquirenti - rimetteva la causa al primo presidente, che la
assegnava alle sezioni unite.
All'udienza del 26 maggio 2015 il Procuratore generale e i difensori precisavano
le rispettive conclusioni come da verbale, in epigrafe riportate.
Motivi della decisione
Appare prioritaria, in ordine logico, la trattazione del ricorso
incidentale della sig.ra Ru., volto a sostenere la libera commerciabilità a
prezzo di mercato dell'alloggio popolare, una volta autorizzatane la vendita
dalla Regione.
In particolare, con il primo e secondo motivo, da trattare congiuntamente
per affinità di contenuto, si deduce, in sostanza, la connessione tra il
divieto di alienazione e la caducazione degli altri vincoli relativi alla
determinazione del prezzo (simul stabunt, simul cadent) nei rapporti privati
tra successivi contraenti.
Le censure sono infondate.
Il problema della vendita degli alloggi di edilizia convenzionata
soggetti al vincolo sulla determinazione del prezzo è stato oggetto, nel
tempo, di un'interpretazione ondivaga, che ha risentito della successione
anche ad intervalli di tempo molto brevi, di emendamenti della disciplina
legale.
Un primo indirizzo ha valorizzato soprattutto l'autonomia negoziale delle
parti, quale principio informatore generale in materia;
pervenendo alla conclusione che sia i divieti di alienazione, che i
criteri normativi di determinazione del prezzo (o del canone di locazione)
fossero applicabili, soggettivamente, solo al primo avente causa; e cioè, al
costruttore, titolare della concessione rilasciata a contributo ridotto e
parte della convenzione-tipo stipulata con il Comune: senza alcun riflesso
sui successivi subacquirenti (Cass., Sez. 2, 4 aprile 2011 n. 7630; Cass.,
sez. 2, 2 ottobre 2000 n. 13006).
Si contrappone ad esso l'opposta tesi secondo cui la disciplina
vincolistica promana da norme imperative, anche se per il medio di
convenzioni tra il Comune e il concessionario (a contenuto, peraltro, predeterminato
dalla legge ed inderogabile): con la conseguenza che l'eventuale violazione
dei parametri legali sul prezzo di cessione sarebbero affetti da nullità ex art. 1418 cod.
civ. e sostituiti mediante inserzione automatica del
corrispettivo imposto dalla legge (art. 1339 c.c. e art. 1419 c.c.,
comma 2).
A questa seconda opzione ermeneutica, fatta propria dalla corte
territoriale nella sentenza impugnata, sembra inclinare anche il collegio
remittente della presente questione di massima di particolare importanza,
richiamando principi ispiratori della legislazione in subiecta materia
enunciati in un non più recente precedente di legittimità (Cass., sez. 1, 2
settembre 1995 n. 9266).
La ricostruzione ermeneutica della disciplina normativa è resa
particolarmente laboriosa per effetto della ricordata stratificazione,
ripetuta e ravvicinata nel tempo, di interventi legislativi che ne hanno
modificato profondamente l'impianto originario. Come rivelato, del resto,
dalle stesse oscillazioni giurisprudenziali sul tema.
Ciò premesso, è però possibile delineare alcuni punti fermi per la
soluzione della controversia: primo fra tutti la distinzione delle
convenzioni per la cessione del diritto di superficie - quale quella
pertinente alla controversia in esame - rispetto alle convenzioni per la
cessione del diritto di proprietà piena. Tale diversità riguarda il regime di
inalienabilità che, nel primo caso, non è previsto dalla L. 22 ottobre
1971, n. 865, art. 35, comma 8,
(Programmi e coordinamento dell'edilizia residenziale pubblica; norme sulla
espropriazione per pubblica utilità) quale contenuto necessario delle
convenzioni: a differenza del successivo comma 15, che lo contemplava, in
origine, per la cessione del diritto di proprietà.
Per contro, il vincolo alla determinazione del prezzo discende, in tutti
i casi, direttamente dalla legge.
Un'ulteriore distinzione deve ravvisarsi tra le convenzioni L. n. 865 del
1971, ex art. 35 e quelle L. 28 gennaio
1977, n. 10, ex artt. 7 e 8 (Norme per la edificabilità dei
suoli), non pertinenti, nella specie). Solo per le seconde il titolare di
alloggio su concessione edilizia rilasciata con contributo ridotto non è
obbligato a rispettare, in sede di vendita, il prezzo stabilito dalla
convenzione- tipo approvata dalla regione, ai sensi della L. n. 10 del
1977, art. 7:
e questo, perchè destinatario dell'obbligo di contenere i prezzi di cessione
(od il canone di locazione) nei limiti fissati dalla detta convenzione è
soltanto il costruttore titolare della concessione (Cass., sez. 2, 2 ottobre
2000 numero 13.006). Per gli immobili di edilizia convenzionata ex L. n. 10 del 1977 appare
chiara, infatti, l'individuazione, in chi abbia ottenuto la concessione
edilizia a contributo ridotto, del destinatario degli obblighi assunti di
contenere il prezzo di cessione degli alloggi, nei limiti indicati dalla
stessa convenzione e per la prevista durata di sua validità.
Ma soprattutto appare dirimente, ai fini della contraria conclusione
nella fattispecie concreta oggetto di scrutinio, la disposizione contenuta
nel D.L. 13 maggio
2011, n. 70, convertito, con modificazioni, in L. 12 luglio
2011, n. 106 (Semestre Europeo - Prime disposizioni
urgenti per l'economia 13 maggio 2011 n. 70): che ha aggiunto al comma 49
dell'art. 31 (Norme particolari per gli enti locali) della L. 23 dicembre
1998, n. 448 (Misure di finanza pubblica per la
stabilizzazione e lo sviluppo) il comma 49-bis, del seguente testuale tenore:
I vincoli relativi alla determinazione del prezzo massimo di cessione delle
singole unità abitative e loro pertinenze nonchè del canone massimo di
locazione delle stesse, contenuti nelle convenzioni di cui alla L. 22 ottobre
1971, n. 865, art. 35,
e successive modificazioni, per la cessione del diritto di proprietà,
stipulate precedentemente alla data di entrata in vigore della L. 17 febbraio
1992, n. 179, ovvero per la cessione del diritto di
superficie, possono essere rimossi, dopo che siano trascorsi almeno cinque
anni dalla data del primo trasferimento, con convenzione in forma pubblica
stipulata a richiesta del singolo proprietario e soggetta a trascrizione per
un corrispettivo proporzionale alla corrispondente quota millesimale,
determinato, anche per le unità in diritto di superficie, in misura pari ad
una percentuale del corrispettivo risultante dall'applicazione del comma 48
del presente articolo. La percentuale di cui al presente comma è stabilita,
anche con l'applicazione di eventuali riduzioni in relazione alla durata
residua del vincolo, con decreto di natura non regolamentare del Ministro
dell'economia e delle finanze, previa intesa in sede di Conferenza unificata
ai sensi del D.Lgs. 28 agosto
1997, n. 281, art. 3).
Come si vede, la possibilità di rimuovere i vincoli relative alla
determinazione del prezzo massimo di cessione (nonchè del canone massimo di
locazione) contenuto in una convenzione P.E.E.P. è subordinata a tre
presupposti: 1) decorso di almeno cinque anni dalla data del primo
trasferimento; 2) richiesta del singolo proprietario;
3) determinazione della percentuale del corrispettivo, calcolata secondo
parametri legali da parte del Comune.
Dal testo normativo sopra riportato emerge, dunque, con chiarezza che il
vincolo del prezzo non è affatto soppresso automaticamente a seguito della
caduta del divieto di alienare; ed anzi, in assenza di convenzione ad hoc (da
redigere in forma pubblica e soggetta a trascrizione), segue il bene nei
successivi passaggi di proprietà, a titolo di onere reale, con naturale
efficacia indefinita.
Non senza aggiungere, in chiusura di analisi, che la soluzione adottata
appare altresì conforme, sotto il profilo teleologia), ad una politica del
diritto volta a garantire il diritto alla casa, facilitando l'acquisizione di
alloggi a prezzi contenuti (grazie al concorso del contributo pubblico), ai
ceti meno abbienti: e non certo quella di consentire successive operazioni
speculative di rivendita a prezzo di mercato.
Non risulta ex actis - nè del resto viene allegato dalla ricorrente
incidentale - che la procedura sopra descritta sia stata seguita:
onde, deve ritenersi tuttora sussistente il vincolo del prezzo al momento
della vendita stipulata tra la sig.ra Ru. e la sig. R..
Con il terzo motivo si censura l'eterointegrazione del contratto nella
sua clausola determinativa del prezzo (artt. 1339, 1419
cod. civ.).
Il motivo è infondato.
Questa Corte ha più volte statuito che ai sensi della L. 22 ottobre
1971, n. 865, art. 35,
che delega al Consiglio Comunale la fissazione dei criteri per la
determinazione dei prezzi di cessione degli alloggi in materia di edilizia
convenzionata, gli atti amministrativi relativi, così come le convenzioni, in
quanto promananti in forza della predetta delega legislativa, traggono da
quest'ultima, direttamente, il carattere di imperatività e pertanto debbono
ritenersi compresi nella previsione dell'art. 1339
cod. civ.; cui si ricollega quella dell'art. 1419
c.c., comma 2 posto che la conseguenza tipica della difformità
di una clausola negoziale da una norma imperativa è la sanzione della nullità
della clausola stessa:
senza riflessi invalidanti, peraltro, sull'intero contratto in ipotesi di
sostituzione di diritto. (Cassazione civile, sez. 2, 10 febbraio 2010 n.
3018; Cass., sez.2, 21 dicembre 1994 n. 11032; Cass. n. 5369 del
12.04.20002).
L'applicabilità dell'art. 1339
cod. civ. appare in linea generale giustificata, perchè,
quando detta norma allude alle "clausole" imposte dalla legge non
si riferisce soltanto al caso nel quale la legge individui, essa stessa, la
clausola da interpolare nel testo negoziale (come sarebbe stato se il Codice
avesse richiesto che la clausola sia prevista "direttamente" o
"espressamente" dalla legge), ma allude anche all'ipotesi in cui la
legge preveda che l'individuazione della clausola sia fatta da altra fonte da
essa autorizzata (nella specie, da una convenzione).
Sul punto, la venditrice Ru. deduce anche l'illegittima inserzione
automatica del corrispettivo vincolato, ex art. 1339 cod.
civ., sotto il profilo che non sarebbe mai stata richiesta
dalla promissaria acquirente, limitatasi ad invocare la riduzione del prezzo.
L'argomentazione, peraltro, non ha pregio, risolvendosi in mera questione
nominalistica, dal momento che l'inserzione automatica del prezzo vincolato
approda, appunto, nella riduzione di quello pattuito: onde sussistono i
presupposti per l'esecuzione in forma specifica del contratto ex art. 2932 cod. civ.,
sulla base del regolamento negoziale, così integrato in applicazione di norme
imperative.
Neppure appare convincente la tesi della necessaria contestualità, in una
stessa disposizione di legge, della sanzione di nullità parziale della
clausola illegittima e della sostituzione di diritto, stante il chiaro
disposto dell'art. 1339, (rubricato come "Inserzione automatica di
clausole"), di contenuto generale ed astratto, suscettibile di
applicazione diretta.
Non era quindi sbocco ineluttabile dell'accertata violazione del vincolo
del prezzo la nullità dell'intero contratto, ai sensi dell'art. 1419
c.c., comma 1, come preteso dalla venditrice.
L'ulteriore eccezione riguardante il difetto dei presupposti per la
costituzione in forma specifica del contratto, in carenza di offerta della
prestazione, appare nuova alla luce del testo della sentenza impugnata, che
non ne fa menzione. Nè la ricorrente incidentale allega, in contrario, i
necessari riferimenti puntuali a propri atti difensivi dei pregressi gradi di
merito, in ossequio al principio di autosufficienza.
Resta assorbito il quarto motivo relativo alla restituzione della
caparra, da computare in conto prezzo.
Passando ora alla disamina del ricorso principale, si osserva come il
primo motivo, con cui si lamenta che la corte territoriale abbia condizionato
l'effetto traslativo al pagamento di Euro 43.101,61 unitamente all'accollo
del mutuo - in tal modo, maggiorando il prezzo - si palesi fondato.
In effetti, la determinazione del prezzo di vendita secondo i parametri
legali, nella somma stimata dal CTU formalmente recepita in sentenza, non
consente la maggiorazione derivante dall'accollo del mutuo fondiario, a pena
di violazione proprio di quella disciplina imperativa che la corte
territoriale ha inteso applicare.
L'affermazione, espressa in motivazione, che la sentenza ex art. 2932 cod.
civ. deve comunque rispettare le pattuizioni contenute
nel preliminare (a parte quella sul corrispettivo, qui sostituito secondo
parametri legali), appare in contrasto con l'accollo del mutuo fondiario -
quale voce di prezzo aggiuntiva - che doveva coerentemente ritenersi già
incluso nel corrispettivo pattuito.
Resta assorbito il secondo motivo relativo al regolamento delle spese di
giudizio.
Il ricorso principale dev'essere dunque accolto, nei sensi di cui sopra,
con la conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla Corte
d'appello di Roma, in diversa composizione, anche per il regolamento delle
spese della fase di legittimità.
P.Q.M.
- Accoglie il primo motivo del ricorso principale, assorbito il secondo,
e rigetta il ricorso incidentale;
- cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia
la causa alla Corte d'appello di Roma, in diversa composizione, anche per le
spese della fase di legittimità.
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